Dialogo con un amico “ARCHITETTO OPENSOURCE” (Davide Sigurtà)

Ho conosciuto Davide Sigurtà nel 2005 in seguito al sisma di Salò (BS) del 2004.
Ero stato contattato da un restauratore cremonese dicendomi che si stava creando un gruppo per affrontare in modo integrato e con competenze diversificate, gli interventi di restauro di alcune chiese danneggiate dal sisma del Lago di Garda.
Mi reco quindi presso una di queste chiese dove mi aspetta il gruppo ed in particolare l'architetto che coordina i restauri.
Lo trovo in cima ad un trabattello che urla in preda all'entusiasmo e fa segni vari agli altri del gruppo, sembra un “ragazzino” (all'epoca 32 anni) che gioca a fare il capitano della nave pirata.
L'empatia è immediata (la passione per il lavoro per me è molto simile al bambino che gioca) , che si traduce nel tempo in una continua collaborazione professionale (entro come consulente scientifico nel Gruppo Recuperando) nonché in amicizia.
Come in ogni amicizia ci sono degli interessi comuni, uno di questi è la filosofia open source, della cui conoscenza devo molto a Davide.

G: Ciao Davide, intanto mi sapresti dire una definizione di open source, specie per distinguerla dal freeware?

D: Ciao Giovanni, la differenza principale tra i due termini, ma non voglio entrare nello specifico dal momento che non mi occupo di informatica, credo che stia nel fatto che per quanto riguarda l'open source quanto creato viene lasciato allo studio ed alla disponibilità della comunità, la quale può modificarlo a piacere, mentre il freeware è semplicemente rilasciato gratuitamente dal suo produttore a quelli che sono gli utilizzatori finali.
Per quanto mi riguarda mi piace affermare che l'open source è più una “filosofia” che un modo di distribuzione di programmi informatici e che quindi, come tale, possa essere applicato a diversi settori.
L'open source è un modo di condividere qualcosa per cresce insieme e per migliorarsi reciprocamente: credo che possa definirsi un modo nuovo di creare relazioni sociali, economiche e quant'altro con un occhio privilegiato alla qualità del rapporto che si istituisce ed al risultato finale. Nell'open source si condividono esperienze per renderle disponibili e quindi verificabili a chi partecipa al progetto; utopisticamente voglio credere che nell'open source ci si ritrovi finalmente con le proprie capacità reali, controllabili, verificabili e senza sotterfugi per fornire a tutti dei servizi in un modo nuovo: la grande qualità dell'open soruce non sta nel programma fornito o nella sua gratuità, ma nella “comunity” che lo gestisce, ed a questa proposito ricordo l'importante esperienza del forum di “Ubuntu” e di tutte le altre distribuzioni Linux. Ritengo che anche le nuove esperienze politiche che si stanno affacciando debbano molto a questa filosofia e forse, finalmente, siamo assistendo alla nascita di un nuovo status sociale che, per quanto mi riguarda, credo porti ad una nuova definizione dello stesso concetto di democrazia con la quale siamo cresciuti. Non voglio però tediarti con le mie “fisime” e quindi procedo a rispondere alle prossime domande ringraziandoti della possibilità che mi dai di diffondere la mia esperienza che è stata soddisfacente, ma che mi ha richiesto notevoli impegni in termini di tempo.

G: Ti ricordi qual è stato il tuo primo approccio con l'open source?

D:Il mio primo approccio all'open source è stato il rifiuto per Windows e quindi l'avvicinamento al mondo Linux e specificatamente alla distribuzione “Ubuntu” nella sua versione 7.04. L'antipatia per il sistema di zio Bill è nata principalmente dalla constatazione che il deterioramento della funzionalità del SO non era una cosa occasionale, ma si ripresentava con cadenza costante e quindi si palesava la necessità di passare ad un aggiornamento, ovviamente a pagamento. Da qui mi sono reso conto che esisteva un mondo parallelo in cui non si pretendeva l'ultimo effetto grafico eccezionale, ma che il proprio pc fosse funzionale e sopratutto gestibile in qualsiasi modo e con qualsiasi conoscenza. Purtroppo il primo approccio è stato fallimentare (Ubuntu era ancora troppo complicato) e quindi sono tornato a Windows.
Solo nel 2010, dopo una lunga vacanza in Grecia in cui ho avuto modo di riflettere con la mia compagna di allora sulla necessità di un maggiore impegno sociale nel nostro lavoro (quello del restauro monumentale) ho preso la decisione di fare il salto di qualità a tutti i costi ed ho installato nel mio studio, ed anche in quello di lei, Ubuntu 10.04.
Ho scoperto, così, che l'introduzione dell'Ubuntu software center aveva finalmente ovviato alle difficoltà che avevo incontrato nella precedente esperienza. Inoltre, forse la maggiore caparbietà con cui mi sono impegnato in questa nuova avventura, mi ha portato nel forum di Ubuntu dove, insieme a dei fantastici utenti che voglio approfittare per ringraziare, ho affrontato e risolto molte difficoltà che necessariamente si sono poste sulla mia strada.

G: Il tuo studio professionale adesso usa completamente software open source, è stato difficoltoso il passaggio? Specialmente per quanto riguarda il sistema operativo?

D: La maggiore difficoltà è stata la ricerca di un buon sistema CAD. Quelli presenti nel 2010 non erano assolutamente in grado di competere con Autocad, ma qui entri in gioco tu che mi hai consigliato di dare un occhiata a Briscad che però aveva problemi di gestione delle immagini (problema che permane tutt'ora), ma da questo punto di partenza sono approdato a Draftsight che attualmente si presta bene alle mie necessità. Logicamente questo passaggio è stato agevolato dalla natura del mio studio, infatti, occupandomi di restauro non ho bisogno di effetti grafici eclatanti o 3D da togliere il fiato e quindi il passaggio è stato relativamente indolore. Recentemente ho trovato difficoltà nei computi, ma sto seguendo con attenzione il progetto “Preventares” che rischia di diventare qualcosa di molto interessante che può rompere il monopolio a software commerciali.  Vedendo però il mondo della professione attuale credo che per i miei colleghi la difficoltà maggiore sia relativa ai software per la gestione energetica, ma io per quelli mi appoggio ad uno studio fortemente innovativo e efficace di Parma: lo conosci?

G: Cosa pensi che manchi fondamentalmente tra i software opensource per la tua professione?

D:Guarda se analizziamo i software direi che manca molto, ma rischio di diventare eccessivamente tecnico e noioso. Credo che la mancanza principale sia la consapevolezza da parte dei miei colleghi. Come per tutto il mondo dell'open source se ci si rende conto che questo è il futuro, per usare una frase fatta, i produttori e la committenza non potranno far altro che adeguarsi. Noi architetti abbiamo un ruolo che molti colleghi hanno dimenticato ed è quello di progettare soluzioni, progettuali in senso lato, per rendere migliore la vita delle persone ed in questo deve necessariamente passare il concetto di open source e di responsabilità civile, professionale e culturale della professione.
Come sempre la mancanza principale è la voglia: come tu ben saprai, perchè come scrivi nella relazione introduttiva ci siamo subito trovati per empatia, la cosa che ci lega e che ci ha guidato in questi anni è la voglia di mettersi in gioco. In questo senso il salto all'open source è una bella sfida che va giocata prima di tutto nell'informatica, ma poi nella vita comune. So che in questa intervista posso sembrare eccessivamente retorico, ma abbiamo investito molto in questi anni in quello che siamo e dobbiamo continuare ad investire nell'open source perchè, secondo me, è la logica continuazione ed evoluzione di Recuperando e delle nostra professione.

G: Attualmente si sente parlare di opensource non solo per il software ma anche per l'hardware, esempio più noto penso sia Arduino il cui successo è stato esplosivo, il sito del sole 24 ore candida ad esempio Massimo Banzi tra i 10 innovatori tecnologici del decennio.
Di recente al Salone del Mobile di Milano è stata presentato il progetto wikihouse combinando l'opensource con il fenomeno dei makers e l'architettura.
Io vedo nella combinazione opensource, web2.0, makers, fabbing, etc. ed in generale nella orizzontalità della rete, una grossa opportunità per il mondo del costruire.
La mia impressione però è che gli attori dell'edilizia (dai tecnici alle imprese) non solo non stiano andando verso questa direzione ma verso la direzione opposta.
Mi spiego, la crisi attuale dell'edilizia sta chiaramente portando gli attori verso una corsa alla sopravvivenza, la direzione presa sembra quella che io chiamo “la via devozionale” che sfocia di solito nel “teatrino dell'innovazione”.
Le parole chiave di questo percorso sembrano essere, classe A, chi più spende meno spende, brevetto, certificazione, prodotti certificati, normativa etc.(abbiamo già dialogato su queste mie idee che magari potranno essere l'oggetto di un futuro post), non pensi che manchi un percorso creativo e scientifico e un autentico dialogo con l'utente?.
Mi sembra cioè che nell'edilizia il “fare e costruire” (citando un volume di una enciclopedia dei miei tempi) sia fortemente vincolato non solo dalle norme di legge (giustamente) ma soprattutto ad un approccio che vede le soluzioni proposte dal mercato come un deus ex machina, dove i brevetti e le certificazioni funzionano da “certezze”, viene dato poco spazio ad una analisi critica e di sintesi.
E' un po' che va di moda rispondere “assolutamente si”; è un termine che non sopporto (..e si sa le parole sono importanti) , difficilmente uno scienziato dirà “assolutamente si” oppure “io certifico che” e non credo che sia meno affidabile rispetto ad altre figure.
Ecco, io vedo nell'open source, un approccio scientifico e collaborativo che sarebbe interessante (...è l'obiettivo del progetto FaberLab e Recuperando) trasportare nel nostro mondo.
D'altronde anche nel mondo del restauro, per lo meno quello bazzicato da noi, si procede poco per certezze e molto per analisi.

D: Condivido in pieno quello che dici, ma io invece sono più drastico e cinico, ma, forse proprio per questo, vedo un futuro in quello che affermiamo. Non credo che il mondo vada dalla parte opposta a quello che diciamo, o meglio, credo che ci vada, ma che questo non lo porti da nessuna parte: l'involuzione verso la gara alla sopravvivenza porterà necessariamente ad una drastica riduzione degli attori in gioco in quei settori più legati alla tradizione, che non vuol dire quelli dediti al restauro, ma intendo quelli che concepiscono il progetto ancora come un bel gesto artistico (che poi a mio parere artistico non è)
Per questi il progetto è da intendere come calato dall'alto senza nessuna voglia di riflettere sulla società in cui è realizzato e senza dare nessuna risposta ai veri problemi dei fruitori, intesi anche quelli delle generazioni future.
Abbracciando la “filosofia” open source credo che il progetto debba essere frutto di un processo di confronto con tutti gli attori coinvolti in cui nessuno si trincera dietro diritti acquisiti o verità dogmatiche, ma in cui tutti si mettono in gioco perchè il fine ultimo è l'oggetto e chi lo userà.
Concludo con una promessa: visto che mi ritrovo molto nella definizione del “teatrino dell'innovazione”, che nel restauro abbiamo sempre cercato di evitare e da cui anche le istituzioni sembrano ultimamente prendere le distanze, prossimamente ti manderò una animazione con il “teatrino dell'intervento definitivo”.

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